Gennaio 17, 2023

flat tax

Nell’articolo di oggi andremo a trattare due dei temi più rilevanti sia in periodo di propaganda sia al momento della scrittura della Legge di Bilancio prevista per il 2023. Evidenzieremo da un punto di vista fiscale cosa cambierà e a chi gioverà principalmente una simile mossa, che per molti versi ha un nonsoché di stampo repubblicano. 

Iniziando dalla flat Tax bisogna distinguerne tre differenti tipologie. 

La prima è quella che ha fatto discutere più per l’onerosità della manovra alle tasche del governo e l’agevolazione che invece una classe di cittadini riceverà. 

Partiamo da un esempio pratico. 

La flat tax con aliquota al 15 per cento (come voluto da Fratelli d’Italia) applicata ad un single che nell’anno ha guadagnato 20 mila euro lordi. Prima di calcolare le imposte da pagare bisogna sottrarre i 3.000 di deduzione previsti e successivamente, al netto, verrà assoggettato all’aliquota del 15 per cento. 

  • 20.000 (reddito lordo) – 3.000 (deduzione) = 17.000 euro (reddito imponibile). 
  • 17.000 x 15 per cento (0.15) = 2.550 (imposta dovuta).

Famiglia con reddito annuo 37.000 e due figli

Sottrarre dal reddito 9.000 euro di deduzione prevista per i carichi di famiglia

e poi applicare l’aliquota del 15 per cento sull’imponibile. L’imposta dovuta ora sarà di 4.200 euro. 

Il vantaggio, dunque, di portare un’aliquota fiscale piatta al 15 per cento è ovviamente la riduzione della pressione fiscale per le famiglie come per le imprese. Così facendo si spera di incentivare la riduzione e semplificare il sistema con la razionalizzazione delle attuali detrazioni. 

Allo stesso tempo, se c’è una luce ci deve sempre essere necessariamente un’ombra, e in questo caso si manifesta nelle casse dello Stato. Se infatti si cerca di alleggerire il carico per i contribuenti, finiranno necessariamente per esserci o meno spese o un aumento del debito pubblico. Oltre tutto, coloro che risentono maggiormente di uno stato assente perché sommerso dal debito sono la classe più povera. La stessa che però non beneficia di quel taglio di imposta come lo sono le classi più abbienti. 

Più avanti specifichiamo per quale motivo. 

Così facendo si squilibra un paese già per molti versi in ginocchio, introducendo una legge ad alto rischio di incostituzionalità. Quest’ultima viene proprio perché all’interno del documento che racchiude la legge fondamentale dello Stato italiano, all’art 53 si riporta come il principio di proporzionalità dell’imposta prevede una contribuzione alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 

Ecco, questo non avverrebbe più. 

Nello stato italiano comunque già la Flat Tax era operativa prima della riforma del governo Meloni per la legge di bilancio nel 2023. Viene applicata solo per i contribuenti di partita IVA nel regime forfettario; quindi, nell’ambito di un regime agevolato privo di IRPEF, addizionali, IVA, Irap e non soggetto a studi di settore o ISA. Nel 2019, a seguito della nuova legge di Bilancio, si era innalzato per tutti i contribuenti nel regime agevolato forfettario il fatturato limita al quale è possibile operare, pari a 65.000 euro a prescindere dal tipo di attività svolta. 

Nel fatturato viene applicato un coefficiente di redditività e tale coefficiente viene moltiplicato per i ricavi/compensi incassati al fine di ottenere il reddito fiscale. 

Vediamo quindi una flat tax (prima della nuova legge di bilancio 2023) che può essere applicata o:

  • del 5 per cento per le nuove attività,
  • del 15 per cento per le attività già operative. 

La prima flat tax che Giorgia Meloni ha fatto molto pressione riguarda dunque quella relativa all’incremento di reddito ed ad oggi sembrerebbe riguardare tutte le partite IVA, operanti anche nel regime ordinario, oltre che nel regime forfettario. L’aliquota viene presentata come una tassazione incrementale ad aliquota fissa pari al 15% per tutti coloro che operano tramite Partita IVA e si applicherebbe all’incremento di reddito conseguito nel 2022, rispetto alla media dei redditi fiscali conseguiti nel triennio 2019-2021. Il tetto massimo relativo a questa tassazione è di 40.000 euro 

La seconda flat Tax di cui ha parlato la Premier si riferisce al potenziamento dell’attuale regime forfettario. 

Cosa significa? 

Si estende per tutti i titolari di partita IVA nel regime agevolato i limiti di ricavi passando da 65.000 ad 85.000 euro. Qui abbiamo una estensione per applicare il regime forfettario, dove un’imposta sostitutiva del 15% che le partite iva possono applicare nel limite rinnovato dei 85.000 e non più di 65.000 come era dal 2014. Per cercare di dare una certa flessibilità ma comunque rigore, chiunque sfori i 100 mila euro non pagando le tasse con l’aliquota piatta (o semplicemente, chiunque non pagherà le tasse) verrà espulso dal regime forfettario. Se invece sarà all’interno dell’intervallo dei 85.000 e 100 mila l’espulsione si avverrà, ma nell’anno successivo. 

E la terza sarà la flat tax sui premi di produttività, che altro non significa che un potenziamento della detassazione dei premi. La logica sta nell’incentivare i datori di lavoro a darli e, dall’altra parte, i lavoratori a riceverli. Per il momento si attesta al 10% ma si prevede una riduzione al 5% entro i limiti dei 3.000 euro e solo per il 2023 (non bisogna confondere premi di produttività con i fringe benefit, ma sono due diverse agevolazioni fiscali. Si ritiene comunque che quest’ultima misura si estranea per quelle precedenti elencate, e, sarà una misura che riguarda statisticamente pochi lavoratori e non incide sul cuneo fiscale complessivo. 

Ok, quindi abbiamo generalmente una riduzione delle tassazioni. 

Ma perché allora ci si continua a lamentare?

Beh, la spiegazione risiede principalmente per il lavoratore dipendente, che non ha comunque trovato grande conforto nelle manovre volute dal Governo Meloni. Tralasciando il debito pubblico, la necessità di investire nelle infrastrutture, una lotta di trincea per le pensioni e altre problematiche varie, si sono andati ad aiutare ulteriormente una classe che già godeva di benefici. Uno studio condotto da Panorama riporta come un lavoratore dipendente con uno stipendio lordo di 85.000 euro paga circa 30.333 euro di tasse, comparato con il lavoratore autonomo avente 7.522 euro di imposte pagate sotto il regime forfettario e con oltre cinque anni di attività. Il valore poi si abbasserebbe a 2.507 (5%) per i giovani con meno di cinque anni di servizio. 

Una spinta imprenditoriale al paese ma sulle spalle di una classe già martoriata da tasse che si, servono a tutti questi servizi che non si pagano, ma che non vengono pagati in maniera distribuita dai lavoratori. Un lavoratore dipendente, per poter prendere la stessa somma netta di un lavoratore autonomo, deve prendere quindi 125.000 euro lordi, praticamente il 47% in più. Ovviamente, chi lavora con la Partita IVA ha molte più incertezze a far fronte, come può essere una contribuzione alla pensione per conto proprio o l’incertezza del contratto lavorativo. 

Per concludere il capitolo flat Tax, bisogna anche riportare un ulteriore rischio che è quello della sottofatturazione. Sebbene fosse presente in maniera più forte con il tetto a 65mila, anche con il nuovo rialzo e con l’introduzione di una flat tax potrebbe generare comportamenti anomali in corrispondenza della soglia medesima, alimentando l’evasione. Quello che però il governo ha fatto di positivo, è limitare la fantasia di coloro che versano mettendo delle “pene” severe come la perdita dei benefici fiscali nell’immediato. 

COSA SI INTENDE QUANDO SI PARLA INVECE DI CONDONO?

Nell’articolo non andremo a specificare le situazioni specifiche, ma solo a dare una spiegazione generale di cosa si tratta con il termine condono. 

Il condono fiscale, chiamato anche tributario, non è altro che quel procedimento che viene messo in atto dal Governo che permette ai contribuenti in situazione irregolare con il fisco di regolarizzare la propria posizione. Il condono, dunque, serve per evitare o parzialmente o totalmente delle sanzioni legate ad alcuni reati fiscali e lo si istituisce tramite un decreto-legge. Il condono però può essere di varia natura e non si limita solo a problematiche fiscali ma può essere 

  • Edilizio, il quale sani fenomeni di abusivismo nell’ambito delle regole di costruzione, di ampliamento o di modifica di natura edile.
  • valutario o chiamato anche scudo fiscale, è uno strumento grazie al quale chi ha esportato illecitamente capitali all’estero può reintrodurli in Italia pagando una somma proporzionata all’ammontare della somma esportata. 
  • previdenziale, riguarda soprattutto nell’ambito dei mancati versamenti spettanti agli enti di previdenza sociale come potrebbe essere l’INPS, relativi a personale dipendente stipendiato in modo non ufficiale 

La domanda viene ovvia: perché lo si fa? In quali contesti lo stato dovrebbe graziare evasori o loro simili? Oltretutto, il condono porta con sé dei costi importanti come potrebbero essere costi operativi per l’amministrazione finanziaria, il costo del mancato recupero dell’evasione commessa e i costi per minore tax compliance (in quanto si crede statisticamente che se dovessero avvenire due condoni ravvicinati, probabilmente ne avverranno dei altri). Quale può essere il punto di gettare la spugna da parte dello stato nel recuperare la cifra e offrire dunque una scialuppa di salvataggio? 

Beh, le motivazioni riportate possono essere diverse. 

Una su tutte è la necessità che lo stato ha di assicurare con un’importante adesione da parte dei contribuenti un afflusso di denaro extra gettito nelle casse, auspicata in situazioni di deficit pubblico importante. Sostanzialmente si paga un supplemento per avere una situazione da irregolare a regolare. Non è altro come quando si prende una multa di velocità e si “acquistano” i punti sulla patente non citando chi era alla guida ma pagando una mora. 

Oltretutto si spera che, essendo legati a riforme più o meno radicali, con un simile atto si possa iniziare da capo una situazione compromessa della burocrazia italiana. A seguito della lentezza dei procedimenti, infatti, può succedere che il sistema statale si ingolfi e si rischiano di perdere più soldi per dei casi caduti in prescrizione. Per evitare che questo accada e danneggiare ulteriormente le casse dello stato, si paga un buono di fuoriuscita fornito direttamente dallo stato. Oltretutto, proprio perché diverso dalla sanatoria, la quale è un provvedimento ordinario e sempre vigente, il condono si tratta di una legge speciale e limitata nel tempo. Inoltre, lo strumento del condono può consentire l’allargamento o comunque l’arricchimento della base imponibile per le dichiarazioni dei redditi future a esso. Questo si verifica in quanto coloro che ne approfittano per sanare le proprie irregolarità, verranno sottoposti a controlli e dunque a mantenere il livello di reddito condonato. 

About the author 

lorenzoparadisi0510@gmail.com

Laureato in Lingue Aziendali all'Università degli Studi di Urbino, sto ora conseguendo la laurea magistrale presso l'Università degli studi di Parma in International Business and Development.
Appassionato di micro e macroeconomia e del mondo della finanza, vanto una conoscenza approfondita della lingua francese (madrelingua) e lingua inglese (C1). Completato un Erasmus alla KEDGE Business School di Bordeaux e un'esperienza estera ufficio acquisti/vendite a Parigi.

{"email":"Email address invalid","url":"Website address invalid","required":"Required field missing"}
Title Banner with Sidebar

Ottieni Gratuitamente l'e-Book

Investimenti - I 10 errori da EVITARE

>