Settembre 6, 2022

Fondato nel 1960 a Baghdad con l’intento di controllare la produzione di petrolio tra i diversi maggiori paesi esportatori. Il cartello economico si fonda sulla linea guida di come funziona l’economia e le basi delle leggi micro e macroeconomiche domanda-offerta.

Costituendo un cartello collusivo su una commodity come quella del petrolio, si riesce a trarre un doppio vantaggio:

  1. La legge base domanda-offerta prevede che alla diminuzione della seconda ma tenendo costante la prima, si ha un aumento del valore della commodity. Basta pensare alla “moda” del momento. Se tutti vogliono un paio di scarpe e l’azienda produce la stessa quantità, vedrà a parità di costi, un ritorno molto più alto data dalla crescente domanda.
  2. L’altro vantaggio risiede nella elasticità del prodotto. Se la domanda è incredibilmente elastica, un cambio di prezzo non darà vantaggi al produttore, e dunque al lato dell’offerta, in quanto ci sarà una riduzione della quantità venduta a parità di costi. Ma il petrolio serve, e ne serve anche parecchio. La nostra infrastruttura economica è basata sulla seconda rivoluzione industriale, connessa alla messa a disposizione di combustili fossili adoperati per la produzione di energia, tra cui appunto “l’oro nero” rendendo la domanda anelastica.

PAESI ORA FACENTI PARTE DELL’OPEC (NO OPEC+).

Fatta questa premessa per appuntare l’importanza del petrolio nel nostro funzionamento economico, capiamo che il valore di esso non si basa solo sulla legge domanda-offerta, ma soprattutto dagli equilibri geopolitici che si vogliono o meno mantenere tra le diverse potenze mondiali. Nel corso degli anni, infatti, ci furono diverse crisi che furono fronteggiate proprio per colpa di decisioni prese per destabilizzare, punire o premiare paesi.

Nell’articolo si analizzano i punti focali di un punto di vista della questione, che è quello di cosa l’accordo collusivo ha portato a noi normali utilizzatori della commodity.

Iniziamo con la spiegazione di cosa sia la collusione:

nel funzionamento economico troviamo diverse forme di mercato

  • Concorrenza perfetta,
  • Monopolio,
  • Oligopolio,
  • Concorrenza monopolistica.

Come estremi si vanno a prendere la concorrenza perfetta e il monopolio.

La prima non è altro che una forma dove la pluralità di soggetti, legati ad un prodotto omogeneo non permette il controllo dei prezzi da parte di un’unica entità.

Il monopolio invece si basa su l’esatto opposto. Si ha un prodotto gonfio di caratteristiche che lo distinguono dai competitors, con un settore monopolizzato da un’azienda che detiene il controllo del mercato e dunque del prezzo del prodotto.

Quello che si è cercato di fare con il cartello economico dell’Opec è di creare una situazione di oligopolio (monopolio se si prende a riferimento l’organizzazione intesa come unico ente con, in teoria, paesi che collaborano coesi per l’estrazione) in un mercato che avrebbe potuto prendere la forma di concorrenza perfetta.

Questo, al paese produttore, avrebbe causato dei ritorni minori dati dall’abbassamento dei prezzi generali per entrare in competizione gli uni con gli altri nel mercato. Per quanto il bene possa essere più o meno omogeneo, i costi sicuramente non lo sono. Ci sono paesi come l’Arabia Saudita con un costo di estrazione decisamente inferiore rispetto invece agli Stati Uniti e la loro costosa tecnica di “fracking” delle rocce. Negli anni questo ha permesso dunque di creare un impero per i paesi aventi la fortuna di contenere i costi di produzione, mantenendo comunque un prezzo decisamente sopra il necessario. Ora, quello che bisogna capire per noi utilizzatori è: quanto ci è costato questo cartello?

Sappiamo tutti che il petrolio genera crisi, instabilità e governa da circa 70 anni l’andamento dell’economia. L’embargo messo ai paesi occidentali nel 1973 a seguito della guerra dello Yom Kippur generò infatti una delle più gravi crisi occidentali, portando ad un aumento dei costi di produzione, aumento dunque dei prezzi, un aumento del debito pubblico, una stagflazione e riduzione dei consumi energetici.

Il punto è che questa crisi, come altre successivamente, sono state scelte a tavolino dal cartello che ha causato un aumento esponenziale dei prezzi per una riduzione dell’availability del bene. In un sistema economico orizzontale non si dovrebbe permettere una tale dipendenza da un bene dato da un’organizzazione sovranazionale che non può essere controllata. Il punto oltretutto, è che chi solitamente è sempre intervenuto per fare da paladino della giustizia (usa), da qualche anno inizia ad avere un duplice macroritorno:

  • I prezzi tenuti alti artificialmente sono necessari per il sostentamento dei costi di centinaia di aziende americane che adoperano il fracking
  • Un’altra è che i barili di petrolio vengono commerciati in dollari, e sebbene non ci sia nessuna legge biblica che lo impone, viene scambiato nella valuta americana, rendendola sicura per le grandi quantità richieste giornalmente.

Detto questo anche un’organizzazione come l’Opec può avere delle sfide non indifferenti, come il controllo della produzione con le rispettive “quotas” di ogni paese, considerando che molti di essi dipendono pesantemente dall’esportazione della materia (Venezuela 95% export dipende dal petrolio). Il vantaggio del prezzo alto rimane comunque un valido motivo per cooperare, entro i limiti possibili.

Per concludere dunque analizziamo a noi italiani quanto è costato questo cartello.

Beh, non poco.

Solo per fare un esempio, provo a spiegare cosa stia succedendo ora con la crisi energetica data dal blocco di importazione del gas e petrolio russo. Sebbene in quanto paese singolo ed Europa in generale, siamo molto più dipendenti dalle esportazioni del gas, anche la benzina (derivante dal petrolio) con il rincaro dei prezzi si è fatta discretamente sentire.

Quello che però non è stato specificato dai media è il lato positivo della faccenda, e cioè che noi dipendiamo solamente per il 10% dalle esportazioni russe di petrolio, avendo a nostro vantaggio un ampio ventaglio di fornitori. L’unico problema è che i paesi facenti parte dell’Opec rappresentano circa la metà delle importazioni di greggio del nostro paese, finendo per essere, come qualsiasi altro nazione totalmente dipendente dalle loro somministrazioni. Ovviamente il mercato è globale e con esso i prezzi, ma qualora ci dovesse essere un embargo all’Italia per n motivi, gli effetti sarebbero disastrosi su tutta l’economia del paese e sicuramente Europea. Purtroppo, non possiamo fare una stima di quanto più ci è costato il cartello in questi anni, ma sicuramente possiamo farci un’idea vedendo il disagio che sta creando una fetta discretamente minore data dalla Russia.

Basti pensare che un incremento tale del prezzo, secondo i dati Istat, potrebbe corrispondere a una diminuzione dello 0,7% della crescita del PIL.

Un’analisi interessante che si può fare è quella relativa alla teoria del Benessere Sociale  e di cosa significherebbe un cambiamento dei prezzi del petrolio sul lato della domanda (consumatore) e dell’offerta (produttore).

Tramite questi due diagrammi possiamo brevemente spiegare che la teoria del Benessere Sociale sostenga come la somma delle due aree ABE (vantaggio del consumatore) + EBCD (vantaggio del produttore) costituisca il benessere sociale che vogliamo ottenere dal funzionamento dell’economia.

Con l’abbassamento dei prezzi, che in questo caso si deve vedere inevitabilmente con l’innalzamento della quantità offerta (barili di petrolio) porterà ad una riduzione del vantaggio del produttore ma ad un benessere generale maggiore. Questi dati sono ovviamente dati su una base teorica ma possono spiegare qualitativamente come il cartello economico danneggi il consumatore, che di norma viene sempre protetto dall’antitrust (in Italia l’organismo che se ne occupa è AGCM).

Per concludere si riportano i dati di uno studio universitario dove si riporta che un cambiamento di lungo periodo gli effetti in termini quantitativi sarebbero questi:

In questo caso le colonne sono p0 e p1 si riferiscono ad un prezzo del 2013 di 100$ al barile rapportate con un prezzo dimezzato di 50$ a barile. Nel breve periodo il benessere sociale, dato dalla anelasticità della domanda, non subisce grandi variazioni (0,5%), ma nel lungo periodo si registra un miglioramento tangibile del 15%.

Ovviamente si nota un notevole svantaggio da parte del cartello sia nel breve che nel lungo termine di SURPLUS, mentre la domanda subirebbe un effetto benefico evidente solo nel lungo periodo.

About the author 

lorenzoparadisi0510@gmail.com

Laureato in Lingue Aziendali all'Università degli Studi di Urbino, sto ora conseguendo la laurea magistrale presso l'Università degli studi di Parma in International Business and Development.
Appassionato di micro e macroeconomia e del mondo della finanza, vanto una conoscenza approfondita della lingua francese (madrelingua) e lingua inglese (C1). Completato un Erasmus alla KEDGE Business School di Bordeaux e un'esperienza estera ufficio acquisti/vendite a Parigi.

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