Nel primo dibattito elettorale per la presidenza degli Stati Uniti d’America, il governatore del Massachusetts Mitt Romney e l’allora presidente Barack Obama si sono scambiati opinioni e vedute sulla questione Federal Debt. Nel corso delle elezioni da sempre si sono viste delle differenze politiche su come, a seconda del partito che si fa parte, si cerca di perseguire un miglioramento nella gestione delle spese ed entrate pubbliche.

Cominciamo a vedere i due punti di vista dei due candidati, ma più nel generale, delle due fazioni politiche americane.

Nel periodo della prima presidenza di Obama il debito cresceva circa di un trilione all’anno, rendendone impossibile l’aggiustamento. Il governatore Romney a più riprese sostiene che la gestione di questo debito non si limita ad essere una questione meramente economica, ma di grande valenza morale. Quando un aumento del debito avviene significa che ad ogni punto percentuale che aggiungiamo c’è una fuoriuscita dal limite del GDP prodotto, portando lo stato interessato a chiedere soldi agli investitori, nazioni e fondi internazionali.

Matematicamente ci sono tre differenti maniere per risolvere la questione

  1. Aumento delle tasse
  2. Tagliare spese
  3. Far crescere l’economia, in quanto significa che più persone lavorano, più tasse saranno pagate e più soldi entreranno.

Ovviamente una può escludere l’altra a seconda del partito che sostieni o della filosofia economica che ti porti con te. I repubblicani sono sostenitori della trickle-down economy, venuta alla ribalta prepotentemente anche nella presidenza di Trump; Filosofia che comunque non è mai risultata efficace per tagliare il debito ma solo per far crescere l’economia (da Reagan in poi), e quindi sostenere la classe più abbiente.

Aumentando le tasse, quindi, Obama viene incriminato di far rallentare l’economia, finendo per ricavare meno in termini di pagamenti. L’accusa che il governatore muove al presidente è di avere una politica troppo incentrata sull’aumento delle tasse, tralasciando un possibile taglio per le spese federali di programmi inutili o oramai obsoleti. La domanda alla quale Romney vorrebbe una risposta per testare l’utilità nel mantenerli o eliminarli è : C’è la necessità di avere quel programma tanto da indebitarsi con la Cina? Se la risposta è no, allora si cancella il programma (televisivo, healthcare, informazioni, controlli etc). Inoltre, si parla di una gestione che può essere manovrata più efficacemente, agilmente, da parte del governo, portando a dei tagli di posti e lavorando tramite delle agenzie del lavoro per ridurre la spesa.

Nello specifico Romney, senza toccare le spese militari, avrebbe voluto applicare un taglio di 500 miliardi nel suo primo mandato:

  • abrogando il piano health care del presidente Obama;
  • estendere il programma federale Medicaid in tutti gli stati;
  • fare dei tagli al personale federale del 10%;
  • e fare dei tagli a fondi federali per corporation a partecipazione governativa come Amtrak (ferrovie).

C’è da ricordare però che, se nella presidenza Obama è avvenuto un aumento del debito di diversi triliardi, un motivo repubblicano c’è. La crisi del 2007 è avvenuta dopo una serie di deregolamentazioni sotto la presidenza Bush (iniziata nel 2000 con Clinton), sul fronte finanziario e bancario che hanno portato ad una catena di eventi.

Non bisogna fare il gioco del puntare il dito ma ovviamente la ripresa degli Stati Uniti non poteva non avvenire se non incrementando il debito a dismisura, considerando oltretutto una guerra nel medio-oriente che stava gravando copiosamente sulle casse dello stato scelta dall’allora presidente repubblicano Bush. Per salvare le aziende, banche e incrementare le risorse militari si sono spesi complessivamente più di 8 triliardi di dollari.

Se si dovesse dunque fare un paragone oggettivo si può dire che entrambi i piani matematicamente non basterebbero per ridurre quel debito, che prevede oramai da anni un incremento marcato nelle spese federali.

Mitt Romney, facente parte del partito repubblicano, spinge come da copione per una riduzione delle tasse così da generare inizialmente un lieve incremento del debito ma permettendo alle persone della middle class di avere più soldi da spendere nell’economia e alle piccole e medie imprese di avere più risorse per crescere. Purtroppo, come si è già verificato in altre nazioni, a ridosso di crisi una riduzione delle tasse da pagare in genere è correlata ad un aumento del risparmio per alcuni periodi, ingrandendo ancora di più il problema.

Dall’altra parte Obama, partito democratico, sostiene un’idea classica. Aiutare la middle class, lasciando le tasse così come sono ma incrementandole sul’4% della popolazione americana, cioè chiunque guadagna più di 250 000$ (WLJ riporta che il 19% delle famiglie americane fanno parte della upper class, ovvero con un reddito medio di 187,872$). L’incremento di queste tasse non creerebbe certo un aumento significato delle entrate per ridurre il deficit, ma a livello politico hanno sempre grande risonanza per la classe media, che normalmente è la più grande in termine di quantità.

Ma il Presidente, la sua amministrazione e il partito democratico furono colpiti duramente nel mid-term election del 2010, sebbene fu sventata nel 2008 una depressione economica. Il problema principale appunto rimase uno allungamento ben oltre il preventivato della spesa pubblica, e dunque come riportato prima, del debito. Difatti, quando nella primavera del 2010 cessarono i stimoli fiscali per incentivare la ripresa, l’economia non risultava solida come si prospettava e iniziò un rallentamento evidente nella crescita. Prima delle elezioni presidenziali del 2012 si riportava una disoccupazione di circa il 10%, un settore immobiliare ancora incerto e una scarsa efficacia delle misure prese durante i due anni di mandato. Il Recovery Act firmato nel 2009, volto a sostenere l’economia con un massiccio aiuto nell’iniettare risorse nella real economy, finisce per dividere completamente il senato. Non ci fu nessun repubblicano (nella Camera dei deputati) che votò per l’approvazione dello stimolo, considerando la spesa di 787 miliardi non concreta come aiuto (sebbene negli anni a venire furono portati a favore di esso studi come i costi vennero superati di gran lunga dai benefici, costituiti dalla creazione di nuovi posti di lavoro e dal mantenimento di quelli esistenti).

Per concludere l’articolo riportiamo dei grafici:

  • il primo porta un rapporto percentuale tra il GDP e il debito,
  • mentre il secondo è la mole del debito in termini assoluti.

Ovviamente, il primo grafico è quello che ci si deve attenere in quanto, come in qualsiasi azienda che si va a valutare l’efficienza della leva finanziaria (equity multiplier) per l’ROE, se un maggiore debito permette una crescita ancora maggiore del prodotto non causa preoccupazioni.

Nei grafici vediamo l’ascesa dal 2007 in avanti, che per coincidenza o per colpa si allinea con il periodo dei due mandati del presidente Obama.

About the author 

lorenzoparadisi0510@gmail.com

Laureato in Lingue Aziendali all'Università degli Studi di Urbino, sto ora conseguendo la laurea magistrale presso l'Università degli studi di Parma in International Business and Development.
Appassionato di micro e macroeconomia e del mondo della finanza, vanto una conoscenza approfondita della lingua francese (madrelingua) e lingua inglese (C1). Completato un Erasmus alla KEDGE Business School di Bordeaux e un'esperienza estera ufficio acquisti/vendite a Parigi.

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