Luglio 29, 2022

Al centro di molte campagne elettorali per la presidenza degli Stati Uniti, quali Bush vs Al Gore o la stessa Biden vs Trump, uno su tutti dei problemi affrontati nell’adoperarsi per il cittadino nella sezione “healthcare” è il controllo dei prezzi delle medicine. Una sezione che divide da sempre i democratici e i repubblicani, come del resto gli Stati Uniti e l’Europa (i nemici dei miei nemici sono miei amici). Nell’articolo si analizzano studi fatti per determinare quali potrebbero essere le conseguenze sul mercato e soprattutto sulla salute del cittadino se si dovessero calmierare i prezzi dei farmaci o perlomeno permettere al governo di contrattare con barriere e benchmark dove prima non erano poste.

Sebbene si possa pensare che la maggior parte delle persone siano in favore di una regolamentazione dei prezzi non data dal normale mercato, una volta che si pone davanti i possibili problemi solamente il 32% della popolazione americana (YouGov/AFP survey) risulterebbe favorevole.

Un benessere momentaneo del portafoglio difatti porterebbe ad un trade-off per i cittadini con la loro salute, in quanto secondo diversi studi (portati spesso da repubblicani) confermerebbero una riduzione della produzione e un rallentamento nella scoperta di nuovi farmaci.

Ricordando la neutralità di questo articolo, tendiamo a sottolineare comunque i problemi della tematica in quanto tendono a sovrastare in ogni fonte i benefici.

Per portare subito una realtà vediamo un esempio di stato che adottando il controllo dei prezzi ha avuto effetti disastrosi durante gli ultimi due anni, il Canada. Sebbene sia stato punito anche troppo duramente dall’arrivo della pandemia nel 2020, con una campagna vaccinale mal organizzata abbinata a un esodo delle più grandi aziende farmaceutiche negli ultimi anni ha portato a una pessima reazione del paese, non avendo nemmeno un ente capace di produrre un vaccino efficace.

Ma parlare di mercati senza numeri porta a confusione, la quale poi si trasforma in sfiducia. Vediamo dunque un po’ di dati riportati da studi fatti da diverse istituzioni quali University of Chicago (nello specifico l’economista Tomas Philipson) e il White House Council of Economic Advisers. Nei loro studi viene riportato che un controllo dei prezzi ridurrebbe le entrate delle aziende farmaceutiche di una grandezza che varia da 500 miliardi a 1 trilione nel giro di una decade, il quale porterebbe inevitabilmente a tagliare i fondi destinati nella ricerca e sviluppo di quasi 200 miliardi in questo periodo. Così facendo ci sarebbe una riduzione drastica di nuove medicine che potrebbe variare da 100 a 342 prodotti in meno (confrontando i due differenti studi). Ma una riduzione delle medicine combinata ad una carenza nella produzione di altre già esistenti non può che portare ad effetti disastrosi sull’economia e dunque nel caro portafoglio di chi vorrebbe invece risparmiare. Il Council of Economic Advisers stima che difatti il controllo dei prezzi ridurrebbe “l’annual economic output” di un range tra 375$ miliardi fino 1 trilione, più o meno tra le 10 e le 30 volte quello che si penserebbe di far risparmiare per il (presunto) benessere del singolo. La contrazione del PIL, quindi, è un meta certa accompagnata da una popolazione meno in salute e da compagnie farmaceutiche con introiti regolati dallo stato.

In termini percentuali si attenderebbe un declino nelle spese di ricerca e sviluppo tra il 29.9% e il 60% nei primi anni, che paragonati a numeri reali si attestano intorno a 2 trilioni.

Arrivati a questo punto, ci si chiede se la destinazione sia obbligatoriamente un trade-off a discapito del consumatore finale o se lo stato può attuare interventi per promuovere una fair economy e una spesa sanitaria fattibile.

Un approccio intelligente sarebbe quello di concedere al cittadino l’opzione personale delle medicine prescritte che creino una maggior fornitura di medicine disponibili. Si può fare in diverse maniere quali

  • Razionalizzare il processo di approvazione della U.S. Food and Drug Administration così che le nuove medicine siano avallate con la stessa velocità con quale i vaccini per il COVID-19 lo sono stati;
  • Espandere conti per healh savings così che tutti gli americani cosi che possano risparmiare e spendere farmaci prescritti, senza pagare tasse;
  • Rimuovere barriere che bloccano l’accesso a versioni generiche di medicinali
  • Permettere più legali importazioni da altre nazioni.

About the author 

lorenzoparadisi0510@gmail.com

Laureato in Lingue Aziendali all'Università degli Studi di Urbino, sto ora conseguendo la laurea magistrale presso l'Università degli studi di Parma in International Business and Development.
Appassionato di micro e macroeconomia e del mondo della finanza, vanto una conoscenza approfondita della lingua francese (madrelingua) e lingua inglese (C1). Completato un Erasmus alla KEDGE Business School di Bordeaux e un'esperienza estera ufficio acquisti/vendite a Parigi.

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