Assieme all’articolo sul PNRR, sembrava doveroso fare una panoramica su un altro tema fortemente dibattuto nell’ultimo periodo riguardante l’essere favorevoli o meno alla implementazione e dunque, agli investimenti nel mondo dell’energia nucleare. Negli ultimi mesi, vittime di una delle lotte intestine più pericolose che l’Europa ha avuto all’interno dei suoi confini dopo la Seconda guerra mondiale, si stanno riscontrando diverse fragilità per quanto riguarda l’indipendenza energetica che ogni paese dovrebbe avere. Le economie di scala funzionano non solo all’interno delle aziende ma anche con i contratti che diversi Stati stipulano tra loro, come per l’appunto l’approvvigionamento di materie prime quali gas o petrolio.
La Russia, prima esportatrice nel mondo di gas ha fatto capire quanto le forti dipendenze del nostro mondo globalizzato con sempre più connessioni possono avere delle ripercussioni tremendamente forte quando gli equilibri vengono a mancare. Una mancata diversificazione del nostro paese oltretutto ha reso queste connessioni delle scommesse che tutto devono essere tranne che una partita di dadi. Questa breve premessa per riportare la questione al nocciolo dell’articolo: quanti investimenti nel nucleare si necessitano in Italia per avere una produzione idonea di energia?
Iniziamo ovviamente dal dire che su questo tema i vari partiti politici si sono schierati nettamente in due fazioni (tralasciando Emma Bonino e Di Maio) le quali vedono un centrodestra assieme alla colazione Calenda-Renzi a favore, e dall’altra parte una sinistra decisamente negativa a riguardo. Tutto sta nella pericolosità eventuale che le centrali nucleari trasmettono alla gente e di come, avvenimenti quali Giappone Fukushima e Ucraina Cernobyl, abbiano sicuramente disinnescato in alcuni la voglia di avere queste “armi” all’interno del proprio paese. Ma il resto del mondo e la scienza cosa dicono?
Principalmente sì pensa che essere in grado di arrivare ad una società a zero emissioni nell’anno chiave, stipulato al 2050 dagli Accordi di Parigi del 2015, con il solo uso delle rinnovabili difficilmente si riuscirà ad avere una produzione di energia che possa soddisfare la domanda. Basti pensare che la Cina, primo paese al mondo per investimenti nel rinnovabile e nella produzione di energia solare, eolica e idroelettrica abbia messo in piedi, comunque, un piano di maxi-investimenti pari a 440 miliardi di dollari per la produzione di 150 nuovi reattori nucleari nel suo paese fino al 2035. Se si paragona che oggigiorno in tutti gli Stati Uniti si hanno 93 centrali nucleari ci si fa forse un’idea di come vogliono pianificare il futuro del loro approvvigionamento energetico. Fa capire dunque come le due prime economie del mondo stiano sempre più incrementando gli investimenti riguardanti questa tipologia di energia che, grazie ai continui investimenti in R&D, si sta rivelando una delle armi più affidabili per combattere il cambiamento climatico.
Ma cosa hanno portato negli ultimi anni tutti questi investimenti fatti?
Quando si parla di centrali nucleari non si ha più a che fare con quegli enormi camini tipici in quanto non se ne ha più la necessità di costruirli. Assieme a questo, anche l’uso dell’acqua per raffreddare il materiale surriscaldato viene meno (utilizzo di Sali fusi nelle centrali di ultima generazione), togliendo una problematica ambientale come l’utilizzo di un’acqua che sarebbe stata poi contaminata da radiazioni o che porta ad un aumento della temperatura dei bacini idrici. L’acqua pressurizzata inoltre era fonte di preoccupazione in quanto non utilizzandola si riducono i rischi di esplosione dovute a cattive gestioni delle pressioni.
Oltre che queste caratteristiche, molto importanti saranno anche la riduzione del cemento e della varie materie prime in quanto le nuove centrali usano un quantitativo di cemento speciale ridotto che in alcuni casi può arrivare fino all’80% e oltre. Si riduce l’uso di altre materie prime, tra cui il rame. Se si parla di inquinamento poi non si può non sottolineare anche la riduzione del volume fisico che una centrale avrà e dunque dell’inquinamento visivo ridotto arrivando a parlare anche di mini centrali nucleari (SMR Small Modular Reactor) le quali si installano presso grandi impianti siderurgici. Per concludere, il percorso di sviluppo ha portato le centrali nucleari anche ad una efficienza senza precedenti, le quali sono passate (dalla terza alla quarta generazione) da uno sfruttamento dell’energia disponibile di 5-8% al 95-98%.
Momentaneamente il nucleare rappresenta il 3% degli attuali investimenti energetici globali ma Jenny Ping, analista di Citigroup, ritiene che si nei prossimi anni si abbia il potenziale per raddoppiare questa quota se la percezione dei paesi continua a vedere una svolta green anche nell’energia nucleare. Difatti, per capire come si stia evolvendo l’opinione pubblica la multinazionale americana di banche di investimento ha indotto un’indagine su 10.000 cittadini europei, riportando che 2/3 di essi sosterrebbero una nuova politica nucleare (aumento del ben 25% dal conflitto in Ucraina). La ricerca condotta riporta che per arrivare ad una situazione di indipendenza dalla Russia (155 miliardi di metri cubi di gas solo per l’Europa) ma più generalmente dai combustili fossili si deve attuare un piano di investimento di circa 500 miliardi solo per l’Europa, Stati Uniti e Corea del sud nei prossimi 2 decenni.
Nel quadro generale comunque basta a dare una conferma dell’importanza del nucleare nella transizione energetica clean quando la Commissione Europea chiese, e riuscì, al Parlamento europeo di inserire nella Tassonomia UE delle attività economiche considerate sostenibili anche l’energia nucleare e il gas naturale, portando ovviamente malcontenti dalla parte di verdi ma anche di chi si considera europeista.
Voglio concludere con una riflessione su come l’Italia stia gestendo, anche a causa di un pubblico difficile, la questione dell’energia nucleare.
I paesi che più stanno producendo energia sono:
- Stati Uniti (789,9 twh)
- Cina (344,7 twh)
- Francia (338,7 twh)
- Russia (201,8 twh)
- Repubblica di Corea (152,6 twh)
- Canada (92,2 twh)
Nel solo 2021 l’Italia, non avendo centrali a disposizioni, ha importato 42,8 twh, il 13.5% pari al suo massimo storico. Di tutta questa energia la maggior parte proviene da paesi limitrofi quali Francia e Svizzera (o anche Slovenia), portando praticamente a zero le opinioni di protezione e salvataggio del nostro territorio. Abbiamo dunque un’Europa che accetta e spinge per una transizione sostenibile grazie anche al nucleare, le maggiori potenze mondiali che stanno implementando la loro rete di produzione, una guerra che ha messo sotto i riflettori una fragilità nell’approvvigionamento europeo di energia (Germania e Italia su tutte) e problemi ambientali giganteschi che non possono essere bloccati matematicamente solo tramite fonti pulite a intermittenza come eolico, geotermico e solare. Gli investimenti dovranno essere fatti per fare in modo di non dipendere continuamente da altri paesi a livello energetico (anni ’70 paesi arabi per il petrolio, 2000 gas russo) SE SI VUOLE e si considera prioritario, evitare di continuare a cambiare paese di dipendenza a seconda della moda e convenienza del momento della fonte energetica.