Aprile 24, 2020

C’era una volta il bail-out. Ve lo ricordate? Prevedeva il salvataggio per linee esterne di una banca a rischio default, con denari pubblici. Poi, dal primo gennaio 2016, il cambio di passo: da allora, il salvataggio delle banche in crisi non avviene con i soldi dei contribuenti – ovvero con il cosiddetto bail-out – bensì con risorse interne alla banca, ossia con il bail-in. In sostanza, in caso di crack bancario sono chiamati ad aprire il portafoglio prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti e infine i depositanti con liquidità superiore ai 100 mila euro.

Lo ha stabilito la Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD), che ha modificato radicalmente il modo di gestire i dissesti bancari nell’Unione Europea: la logica è evitare che il peso di un crack bancario ricada sulla totalità dei contribuenti, ma far sì che se ne faccia carico chi ha accordato la sua fiducia all’istituto, diventandone azionista o creditore.

Una chiamata all’assunzione di responsabilità per soci, obbligazionisti e correntisti, insomma. Ma, come vedremo, con qualche paletto.

Come funziona il bail-in

Il bail-in consente a chi si occupa del salvataggio della banca – nel nostro Paese la Banca d’Italia – di svalutare le azioni e i crediti e di convertire questi ultimi in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne porti avanti le funzioni essenziali.

Abbiamo parlato di azioni non a caso: come sottolinea la Banca d’Italia, innanzitutto “si sacrificano gli interessi dei ‘proprietari’ della banca, ossia degli azionisti esistenti, riducendo o azzerando il valore delle loro azioni”. Da qui in poi, il salvataggio interno segue una precisa gerarchia, in ordine decrescente di rischio dello strumento in cui si è scelto di mettere i propri denari.

Quindi:

  • gli azionisti;
  • i detentori di altri titoli di capitale;
  • gli altri creditori subordinati;
  • i creditori chirografari;
  • le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro;
  • il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti.

Ma la Banca d’Italia può decidere di non coinvolgere una determinata categoria, per evitare il panico tra i risparmiatori e sui mercati, facendo intervenire al loro posto il fondo di risoluzione.

In ogni caso, azionisti e creditori non potranno in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie. E comunque, chi si vede convertire un credito in azioni col tempo potrebbe recuperare il valore del suo investimento, se il risanamento della banca ha successo.

Chi è al sicuro in caso di bail-in?

Come spiega la Banca d’Italia, sono completamente esclusi dall’ambito di applicazione e non possono quindi essere svalutati né convertiti in capitale:

  • i depositi di importo fino a 100.000 euro;
  • le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti;
  • le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;
  • le passività interbancarie (esclusi i rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a sette giorni;
  • le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a sette giorni;
  • i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.

Le passività non espressamente escluse possono essere sottoposte a bail-in, salvo scelta diversa da parte dell’autorità.

Qual è il rischio di imbattersi nel bail-in di una banca?

Non elevatissimo, se si sta accorti: i segnali premonitori della crisi di una banca di solito compaiono in modo progressivo e graduale, con conseguente copertura sui media. Vale comunque sempre la raccomandazione di tenere ben dritte le antenne sui rischi che si assumono acquistando un’obbligazione bancaria o depositando i soldi in banca.

Chi deposita più di 100 mila euro o compra un’obbligazione bancaria subordinata o senior non garantita deve essere ben consapevole che in questo modo diventa un creditore della banca. E deve essere ancor più sul chi-va-là nel caso in cui si veda proporre le azioni della banca. Purtroppo, nei casi di “risparmio tradito” l’ignoranza di queste nozioni di base rende in qualche modo complici di chi ci prende per fessi.

Consapevoli e responsabili delle proprie scelte: tenendo presente che non esiste né mai esisterà un rendimento potenziale privo di rischi.

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Poggi Leonardo

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