Come funzionano e quanto pesano sul sistema finanziario i crediti deteriorati delle banche
I crediti deteriorati delle banche, in inglese non-performing loan (NPL), sono dei prestiti la cui riscossione è considerata a rischio sotto diversi profili. Si tratta in genere di esposizioni degli istituti di credito verso soggetti che, per un peggioramento della propria situazione economica e finanziaria, non sono in grado di far fronte alle proprie obbligazioni e quindi di ripagare nei tempi o negli importi previsti le rate del proprio debito.
La Banca d’Italia suddivide gli NPL in tre principali categorie che rendono conto del processo di graduale deterioramento cui può andare incontro un credito: esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate, inadempienze probabili e sofferenze.
Le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate sono dei crediti che sono scaduti o eccedono i limiti di affidamento da oltre 90 giorni e oltre una determinata soglia di rilevanza.
Le inadempienze probabili sono il gradino successivo, quello in cui la banca ritiene improbabile che il debitore adempia interamente ai propri obblighi contrattuali, a meno di azioni dell’istituto di credito come l’escussione delle garanzie.
Infine giungono le vere e proprie sofferenze, crediti verso soggetti in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili.
I casi possono dunque essere molto diversi e variare da una incapacità soltanto temporanea del debitore di far fronte ai propri obblighi, a situazioni di acclarata insolvenza. Durante il processo di deterioramento di un credito, la banca può anche ritenere più conveniente una ristrutturazione dell’esposizione. In tal caso vengono in genere modificate le condizioni contrattuali, per esempio con un riscadenziamento del debito o una parziale cancellazione dello stesso.
Va inoltre evidenziato che le banche che assistono al processo di
deterioramento di un credito intervengono a supporto della propria
posizione con svalutazioni e accantonamenti, riducendo dunque il
valore del credito in bilancio (per avvicinarlo a quello ritenuto
recuperabile) o accantonando risorse proprie a copertura di una
esposizione a rischio crescente. Nasce da questo la distinzione dei
non-performing loan in crediti deteriorati lordi e crediti deteriorati netti (ossia che escludono le svalutazioni e gli accantonamenti già effettuati in bilancio).
Il grado di copertura di un’esposizione deteriorata presente nel bilancio di una banca prende il nome di coverage ratio (o semplicemente coverage) ed è espresso in percentuale dell’esposizione nominale.
Se per esempio una banca vanta un credito (deteriorato) di 100 milioni
di euro, ma per sicurezza ha accantonato 60 milioni di euro in bilancio
temendo i rischi connessi al recupero, si dice che il valore nominale del credito deteriorato è di 100 milioni di euro e che il coverage ratio ammonta
al 60 per cento. Chiaramente il livello di coverage medio di una
inadempienza probabile è tendenzialmente più basso di quello di una
sofferenza.
La crisi economica e finanziaria che ha colpito anche l’Italia tra il 2008 e il 2014 ha avuto pesanti effetti anche sui bilanci bancari in quanto le crescenti difficoltà di famiglie e imprese si sono riflesse in una loro minore capacità di ripagare i propri debiti. Questo ha comportato una crescita dei crediti deteriorati nei bilanci bancari e una maggiore fragilità degli stessi istituti di credito. Per anni i livelli elevati di NPL sono stati considerati una delle maggiori debolezze del sistema finanziario italiano e hanno spinto numerose banche ad avviare operazioni ordinarie e straordinarie di consolidamento. Primari istituti di credito italiani hanno cartolarizzato, anche con sistemi di garanzia pubblica ad hoc detti GACS, importanti portafogli di crediti deteriorati e hanno contemporaneamente varato imponenti aumenti di capitale. I regolatori nazionali e internazionali, oltre agli operatori di mercato, hanno infatti chiesto a più riprese una “pulizia” dei bilanci bancari con il duplice obiettivo di rafforzare il sistema del credito e di favorire i prestiti all’economia reale.
La cartolarizzazione di un credito deteriorato è lo strumento
principale di intervento sulle poste finanziarie a rischio di un
istituto di credito. Consiste nella cessione da parte della banca
originaria, detta originator, del portafoglio di deteriorati a una società veicolo, detta Special Purpose Vehicle (SPV).
Questa a sua volta emette titoli, si muniti che privi di rating, che
vengono collocati a investitori professionali e ripagati con le somme
recuperate dai crediti vantati. Chiaramente i crediti deteriorati
vengono in genere ceduti a una somma assai inferiore al loro valore
nominale, attualmente un valore del 30% o superiore del nominale è
considerato accettabile o positivo, ma nel recente passato sono stati
ceduti crediti anche al 18-20% del valore nominale. Per la banca è
fondamentale all’atto della cessione raggiungere la quota più elevata
possibile del valore nominale del credito.
Se per esempio una banca un portafoglio NPL di 100 milioni con un
coverage del 60%, se il credito è ceduto al 25%, l’istituto di credito
registra immediatamente una perdita netta del 15% del nominale ceduto
(100%-65%-25%). Per portafogli importanti è stato spesso necessario per
gli istituti italiani approntare degli aumenti di capitale anche
importanti per far fronte alle perdite derivanti dalle cartolarizzazioni
di crediti.
A loro volta i titoli cartolarizzati emessi da un SPV possono essere suddivisi in tranche di “qualità” decrescente fra senior, mezzanine e junior. Sui titoli di maggiore qualità (quindi più sicuri e dotati di un merito di credito investment grade) lo Stato Italiano ha previsto delle possibili garanzie pubbliche note come GACS e destinate a facilitarne il collocamento.
A inizio 2018 Banca Ifis calcolava che nel 2017 si erano registrate transazioni collegate ai deteriorati per ben 72 miliardi di euro e che per l’anno successivo se ne prevedevano per altri 57 miliardi di euro.
Nel suo Rapporto Mensile del luglio 2018 l’Associazione bancaria italiana (ABI) calcolava che le sofferenze nette (cioè al netto appunto di svalutazioni e accantonamenti) a maggio 2018 si erano attestate a 49,3 miliardi di euro con un calo di ben 37,5 miliardi di euro (-43%) sul dato del dicembre 2016 (86,8 miliardi). Il livello massimo delle sofferenze nette era stato raggiunto nel novembre del 2015 a quota 88,8 miliardi.
I risultati raggiunti, grazie alla ripresa economica e agli interventi di consolidamento delle banche, avevano anche portato il rapporto tra le sofferenze nette e gli impieghi totali (ossia il peso delle sofferenze nette sui prestiti totali delle banche) al 2,84% dal 4,89% di fine 2016.
Il bollettino mensile Banche e Moneta della Banca d’Italia relativo al mese di giugno 2018 (pubblicato all’inizio dell’agosto successivo) certifica che alla fine del primo semestre le sofferenze lorde complessive del sistema bancario italiano ammontavano a circa 131,7 miliardi di euro e avevano mostrato un calo del 26,1% su base annua (-10% a maggio) grazie a diverse operazioni di cartolarizzazione di elevato ammontare (per circa 32 miliardi di euro).