“Nel primo trimestre del 2017 il PIL è aumentato dello 0.4%
rispetto al trimestre precedente e dell’1.2% nei confronti del primo
trimestre del 2016.”
“In Italia il rapporto debito pubblico/PIL è passato dal 132.1% del 2015 al 132.6% del 2016.”
“Spesa per ricerca e sviluppo al palo in Italia: solamente l’1% del PIL”
Giornalisti, commentatori, politici e presunti tali, tutti tirano in mezzo il PIL. Vediamo allora di cosa si tratta.
Che cos’è il PIL?
Tra le pagine del sito dell’Istat troviamo una prima (e decisamente rigorosa) definizione: “Il PIL (Prodotto Interno Lordo) è il risultato finale dell’attività di produzione delle unità produttrici residenti. Corrisponde alla produzione totale di beni e servizi dell’economia, diminuita dei consumi intermedi ed aumentata dell’IVA gravante e delle imposte indirette sulle importazioni. È altresì pari alla somma dei valori aggiunti ai prezzi di mercato delle varie branche di attività economica, aumentata dell’IVA e delle imposte indirette sulle importazioni, al netto dei servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati.”
Tutto chiaro? No, probabilmente no, e non lo è nemmeno per noi. Allora lasciamo da parte i tecnicismi astratti e caliamoci nel mondo reale.
Con tutte le dovute semplificazioni, il PIL esprime il reddito prodotto in un anno di un Paese. Non la ricchezza. Il reddito. La ricchezza può derivare dal reddito, ma non sono la stessa cosa.
Come si calcola il PIL?
Il metodo del valore aggiunto
Il primo approccio è il “Metodo del valore aggiunto” secondo il quale, per determinare il valore del PIL, si considera il valore dei beni e servizi complessivamente prodotti, al netto dei costi di produzione. Immaginate di calcolare il PIL di un Paese costituito da soli panifici: con il metodo del valore aggiunto il PIL sarà determinato dall’effettivo ricavo derivante dalla vendita del pane, al netto del costo di farina, acqua e uova.
Con il metodo del valore aggiunto, il reddito del Paese tiene conto del valore che i beni e servizi acquisiscono in ogni fase del processo produttivo. Prestate attenzione al grafico sottostante, dove troviamo la composizione del PIL italiano, diviso per singola voce, secondo il metodo del valore aggiunto.
Il metodo della spesa
Con questo approccio vengono considerate le abitudini di spesa dei soggetti presenti nel Paese (famiglie, imprese e lo stesso Stato). Il PIL somma il valore della spesa delle famiglie (i consumi), il saldo degli investimenti effettuati (sia dalle famiglie che dalle imprese), l’ammontare della spesa pubblica e, infine, il valore del commercio da e verso l’estero, ossia il saldo tra esportazioni e importazioni.
Il metodo del reddito
Con l’ultimo approccio si sommano le retribuzioni – lo stipendio – dei singoli soggetti che danno vita all’economia del Paese, insieme al valore dei redditi da capitale – cioè il valore complessivo dei dividendi azionari o delle cedole obbligazionarie. Ricordando la celebre frase del Nobel per l’Economia Krugman “la mia spesa è il tuo reddito, il mio reddito è la tua spesa”, anche in questo caso si riesce ad ottenere un valore di PIL. Nel grafico seguente potete osservare il PIL italiano calcolato secondo questo criterio.
Alla fine ci ritroviamo con tre metodi diversi per calcolare il PIL, e quindi per leggere l’attività economica di un Paese. Forse vi chiederete: ma così facendo non si rischia di avere una visione sbagliata dell’economia, o per lo meno non omogenea? La risposta è: no. Se avete prestato ben attenzione ai precedenti grafici noterete che, a prescindere dalle componenti che formano il PIL, il risultato finale (cioè la somma) è pressoché identico, salvo piccoli arrotondamenti contabili.
PIL nominale o PIL reale?
L’elemento che differenzia i due tipi di PIL è la presenza (o l’assenza) dell’inflazione nel calcolo. Quando il PIL viene depurato dell’effetto erosivo dell’inflazione, si parla di PIL reale, altrimenti, stiamo parlando di PIL nominale.
l’inflazione (o la deflazione) varia il prezzo dei beni e dei servizi prodotti in un’economia. Di conseguenza anche il PIL ne risente; immaginate di confrontare, a parità di beni e servizi concretamente prodotti, il valore del PIL nominale in due situazioni, una caratterizzata da forte aumento dei prezzi (inflazione) e l’altra invece da riduzione dei prezzi (deflazione): il PIL nominale sarà differente, mentre quello reale sarà identico. Quindi, fate attenzione soprattutto ai dati reali!
Perché il PIL è così importante?
Perché rappresenta il reddito di un Paese, ed è manifestazione della sua produttività e della sua “vitalità” economica.
Ma il PIL non è una misura perfetta. Robert Kennedy nel 1968 disse: “Il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Abbiamo capito che il PIL cattura sì molte dinamiche economiche, ma non la dice tutta sulla qualità della vita di un Paese. Ad esempio, mangiare la frutta del nostro giardino può essere sicuramente più piacevole e sano che acquistarla già confezionata presso la grande distribuzione; tuttavia l’impatto del coltivare in giardino la frutta è pressoché nullo sul PIL. Al contrario, l’acquisto di frutta al supermercato, facendo muovere gli ingranaggi della macchina economica, va ad impattare direttamente (e positivamente) sul PIL.
Comunque, nella sua imperfezione, il PIL rimane uno degli indicatori più utilizzati. Le ragioni sono profonde, pensateci.
- Cosa ci permette di confrontare la crescita di due Paesi? Il PIL.
- Come capire la capacità di un Paese di ripagare il debito pubblico? Guardiamo al rapporto debito/PIL.
- Ci serve avere un’idea del benessere medio della popolazione? Lo capiamo dal PIL “pro capite”, cioè il rapporto tra il PIL di un Paese e il numero di abitanti.
- Quasi tutte le misure di qualità della vita (livello di istruzione medio, salute dei cittadini, livello di welfare, qualità e quantità di tempo libero e via dicendo) sono correlate positivamente al PIL.